«Mio Dio,mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso te infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa, propongo con il tuo Santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire dalle occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia perdonami.»
«Io ti assolvo da i tuoi peccati, nel nome del Padre…» «Padre…» « …Figlio…» «…Figlio…» «…e Spirito Santo…»
«…e Spirito Santo… Don Luca?» «Dimmi, Chica.» «No, no,niente… grazie, ci vediamo domani a messa!»
Se resto ancora in ginocchio su questo inginocchiatoiolasciola sagoma della rotula. Anche se ogni tanto,facendo leva con i gomiti sul piano di legno davanti a me, cerco di scaricare il peso dalle gambe, stare in ginocchio resta pur sempre una posizione dolorosa. Dovrei essere assolta dai miei peccati solo sottoponendomi a questa penitenza corporale tutti i sabatipomeriggio.
Peccati poi… peccatucci. Diciamo che non sono proprio una ragazza peccaminosa; con questo non voglio assolutamente peccare di superbia,sia chiaro, ma le mie mancanze si limitano a rispondere in malo modo a mia madre,concedermi ogni tanto, non totalmente, a qualche ragazzo che mi fa il filo,fare il bagno nuda nel fiume di sera; ogni tanto maledico anche qualche ragazza o ragazzo, soprattutto ragazze, quando mi prendono in giro dandomi nomignoli sgradevoli oppure quando mi escludono dai ritrovi e dalle gite. Tutto qua, non mi sembra niente di così irreparabile.
Ogni domenicaalle 10:30 alla chiesa di SantoStefano prendo la messa. Da quando ho conosciuto Don Luca a un campo estivo fatto a Foce di Mosceta, proprio sotto la Pania della Croce, sulle Apuane, mi sono spostata dalla mia parrocchia di origine, San Carlo,a quella di SantoStefano Protomartire.
Ogni domenicaalle 8:50 parcheggio la mia bicicletta, una graziella arrugginita ereditata da mia madre, la lego alla canala di scolo dietro il campanile ed entro in canonica; ormai non devo nemmeno più suonare, Don Luca mi fa trovare la porta aperta. Saluto Donna Rosa, la perpetua che aiuta il parroco nelle faccende quotidiane, salgo le scale che portano alle camere e mi unisco a Donlu a recitare l’ora media;poi facciamo colazione insieme. Alle 10 inizio ad agghindarmi da chierichetto per la messa e dopo la messa lo aiuto a sistemare la chiesa. Solitamente per le 11:15 sono pronta, slego la bicicletta e torno a casa ad aiutare mia madre a preparare il pranzo.
Questa è la mia routine domenicale; routine spezzata una sola volta, il 12 giugno 2016 quando, uscita di chiesa, non trovai la bicicletta; al suo posto c’era la catena spezzata abbandonata a terra e un foglio con il riscatto sadicamente scocciato alla canala:
Se stai cercando la tua bicicletta, dì tre atti di dolore
e chiedi perdono per averlo preso in bocca a Carlo.
Sei una troietta, fai tanto la santarellina
ma sotto sotto hai una voglia che muori.
Gira il foglio se vuoi sapere
dove e come puoi ritrovare
la tua bicicletta.
Girai il foglio e la scena che mi si palesò agli occhi aveva dell’incredibile: c’ero io in un atto molto intimo con Carlo. La foto doveva senz’altro essere stata scattata a mia insaputa da un terzo o una terza nascostovicino a noi in quel momento. Solo allora capii perché Carlo aveva insistito così tanto per andare in quel parcheggio che, sebbene di sera fosse vuoto, era sempre perfettamente illuminato. Per qualche istante stentaia credere chequel ragazzo che per due settimane mi aveva fatto la corte, che mi aveva promesso di essere un ragazzo serio e fedele, che si era accontentato per un mese dei baci a stampo sulla bocca, fosse invece in realtà un meschino ingannatore.
Io che gli avevo aperto il mio cuore e… anche la bocca. Fu la prima volta quella, e il destino volle che fosse immortalata su carta, su una carta che andava lentamente bagnandosi di lacrime di rabbia, delusione, stupore, rimorso e peccato.
Sotto l’immagine c’era scritto in verde:
La tua bici si trova nel luogo del peccato,
ti consigliamo di venire stasera
altrimenti non solo non la rivedrai più
ma questa e altre foto saranno rese pubbliche
per le strade e su internet. Ore 21.
Buona messa peccatrice.
Passai il resto della giornata a piangere a letto, conmia madre che, convinta cheavessi avuto una delusione sentimentale,continuava a presentarsi con dolci, cioccolate, gelati di ogni tipo e frasi di conforto del tipo ci siamo passate tutte, prima o poi doveva succedere.
Non potevo dirlemamma non è quello che pensi, mi sono fatta ingannare da un ragazzo che d’accordo con altre persone mi ha sedotto,dopo un mese e mezzo ho ceduto gli ho fatto un pom**ma ti giuro pensavo che fosse un ragazzo per bene, una storia seria, lui mi ha fatto scattare delle foto e adesso con i suoi amici mi sta ricattando e se voglio rivedere la mia bicicletta, ah sì perché nel frattempo mi hanno anche preso la bicicletta in ostaggio, e se non voglio vedere le mie foto appese sui pali di tutte le strade della città e se non voglio che pervertiti in tutto il mondo se lo menino scaricando le mie immagini su internet adesso devo cedere anche al ricatto!
Sarebbe stato sicuramente meglio,ma non era una cosa che si poteva dire a una madre, quindi le lasciai credere che il mio fidanzato mi aveva lasciato e le chiesi il permesso di andare a sfogarmi dalla mia amica Luisa. Lo so,dissi una bugia, Luisa oltretutto non era proprio mia amica, anzi, faceva parte di quella cerchia di persone che spesso mi dava appellativi poco carini e nomignoli, ma fu il primo nome che mi venne in mente. Una volta ottenuto il permesso mi allontanai da casa e così quella sera, a piedi, con il cuore a mille e gli occhi gonfi, presi il lungo viale alberato che portava al parcheggio. Ero sola. Sola contro Dio solo sa quanti, contro Dio solo sa chi! Per sicurezza azionai il registratore vocale del cellulare, cheriposizionai nella tasca posterioredei jeans.
Trovai la forza per chiedere perdono a Dio,con l’imbarazzo di quella foto ancora negli occhi,e chiesi la forza per saper affrontare la serata. Recitai un Atto di dolore,un Padre Nostro e due Ave Maria,ed ero al parcheggio.
«Spogliati!» una voce… una voce di ragazza… la conoscevo,era Francesca, la fighetta pottina di SantoStefano;la conoscevano tutti, e per “conoscere” intendo proprio il senso biblicodel termine.
«Dai che ti piace, spogliati!» un’altra voce, questa volta di ragazzo, era Carlo (verme). Intorno non si vedeva ancora nessuno.
«Ti spogli da sola o veniamo noi a strapparti i vestiti di dosso?»
Mi spogliai tutta, tremavo, oddio come tremavo. Non me lo lasciai ripetere e mi spogliai completamente, nemmeno tentai di coprirmi con le mani o le braccia, sarebbe stato inutile.
Un fascio di luce si accese e percorse tutto il mio corpo, dai piedi, su per le gambe, si soffermò sulla zona inguinale, ombelico, seno e volto, poi di nuovo giù fino a fermarsi a metà busto.
«Stai lì ferma, non ti muovere! Se ti muovi di un solo passo o ti copri condivido subito le immagini»
Ero marmorea, terrorizzata, umiliata.
Dlin
Qualcuno aveva avviato un video da cellulare; una lucina, probabilmente il flash, si stava muovendo dalle frasche davanti e si stava avvicinando.
Altri rumori dai lati, e io immobile. Ma quanti erano!?
Ridevano, sentivo i ghigni, chiacchieravano sottovoce mentre i loro occhi erano puntati su di me. E quella lucina, quell’occhio luminoso e curioso mi osservava sempre più da vicino.
La torcia era in mano a Francesca, il cellulare invece era di Carlo;con loro c’erano anche Veronica, la cagnolina fedele di Francesca, Marco e Lorenzo. L’obiettivo rivolto su di me, Francesca si avvicinò e fece finta di leccarmi i seni, mentre da dietro Marco e Lorenzo con il membro di fuori mimavano amplessi, Veronica nel frattempo stava girando come una mosca impazzita intorno a Carlo sperando in qualche sua attenzione.
Ero pietrificata, non si muovevain me il minimo accenno di eccitazione, non sentivonemmeno un fremito alla base della colonna vertebrale, neanche un gorgoglìo nello stomaco. A essere sincera non sentivo niente, vivevo quel momento come se non fossi nel mio corpo: mi lasciai umiliare sicura del fatto che dentro quel corpo, quel corpo deriso, snudato, violato, guardato, non c’ero io. Non abitavo me stessa. Nessuno mi stava toccando, ma tutti mi stavano violentando.
Dei rumori da dietro… al mio banchetto sacrificale si stavano unendo anche Ugo, Antonio, Roberto e Mario, quattro guardoni depravati.
Mentre si aggiungevanoquesti quattro vecchietti Carlo continuava a registrare il tutto minuziosamente. Solo Carlo registrava, solo Carlo usava il cellulare (quel verme).
«Piegati» vomitò la sua spregevole bocca.
Il mio corpo ubbidì, si violentò, violentò la mia ragione, violentò la mia volontà, violò il mio pudore, ma si piegò e lasciò aprire la mia innocenza al vento. I vecchi dietro intenti a scansionare ogni mio angolo, Francesca, al mio fianco, in topless si era messa nella mia stessa posizione, Marco e Lorenzo che simulavano un rapporto orale davanti a me,e Veronicache nudasi strusciavaa Carlo. E io, io avevo solo lacrime mentre recitavo il Padre Nostro.
«Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in…»
Una folgorazione!
Strano come nel momento del bisogno, se pur nella difficoltà, per grazia di Dio la risposta arriva, l’illuminazione che ti tira fuori da una brutta situazione.
Afferrai con la destra il pene di Ugo e con la sinistra quello di Mario, mi veniva da vomitare. Urlai:
«Basta! BAsta!! BAAAASTAAAAAAA!!!!!» in un grido acutissimo.
I due malcapitati poterono sentire la mia forza ritrovata, li stringevo in una morsa di acciaio.
«Carlo registra bene! Riprendi questi quattro pedofili, mi stanno violentando!»
«Ma cosa dice questa stupida?» domandò Carlo a Veronica.
«Ho sedici anni,e voi? Tu Carlo 18, vero?»
«Embè?» «Tu Veronica haila mia etàe voi, anche voi avete 18anni» «E dunque?» «E voi»rivolta ai quattro pervertiti «è già tanto se avete meno di 80 anni, per voi sono veri guai; questa è pedofilia e in quel cellulare è tutto salvato, quel cellulareè la prova. Cosa ne dite di passare quello che rimane della vostra vita dietro le sbarre?».
«Cosa dice la bimba?» chiese Antonio a Mario «Dice che l’abbiamo nel culo»
«Non dateleretta,è solo una bimbetta viziata, a lei piace farsi guardare, è il suo hobby preferito, non vi farà niente.» disse Carlo
«………», non risposi,«Visto? Non preoccupatevi e continuate a divertirvi» «Si!» «Evvai» esclamarono Marco e Lorenzo contenti di continuare il loro sadico rituale.
«Il cellulare!» urlai a Carlo piangendo «Nel mio cellulare ho tutte le prove, ho registrato tutta la nostra conversazione e tutte le vostre voci. Vi giuro che anche fosse l’ultima cosa che faccio, domani lo porto ai carabinieri se non la smettete subito e se non cancelli tutto, schifoso verme!»
Inaspettatamente i vecchietti, probabilmente colti alla sprovvista e impauriti dalle minacce, si rivestirono, tirarono fuori i due coltellini svizzeri multifunzione che tenevano sempre in saccoccia e cominciarono a minacciare Carlo che se non avesse dato loro il cellulare avrebbero usato le sue chiappe per rifarci la lama.
«Carlo, figlio di Maria e Francesco, abiti in via Barca vero?» disse Antonio con in mano uno dei due coltelli «dammi il tuo cellulare! E tu signorina» disse rivolto a me «anche tu dammi il tuo cellulare, e nessuno deve sapere di questa notte, nessuno!»Sebbene fossedecrepito, quando si arrabbiava, Antonio, faceva ancora paura.
Mentre tutti si stavano rivestendo Carlo consegnò il cellulare a Mario mentre io lo consegnai a Ugo. Le mie mani ancora puzzavano del loro sporco odore, e loro ancora avevano il volto crucciato per la stretta che avevo dato ai loro gioielli durante l’urlo.
Antonio mise i telefoni a terra uno sopra l’altro, mentre Roberto tornò dalla vegetazione al lato del parcheggio con una grossa pietra. Così si concluse questa vicenda.
Per primi se ne andarono i ragazzi, mentre i vecchi controllavano che il loro lavoro di distruzione fosse ben compiuto.
Io invece ritrovai la mia bicicletta dietro il poggio, oltre la staccionata del parcheggio. Quando tornai indietro erano tutti spariti, rimanevano solo i frammenti dei cellulari. Prima di partire controllai che niente fosse rimasto integro e per puro caso mi ricordai di estrarre la scheda SD da quel che rimaneva del mio cellulare e, per togliermi ogni dubbio, controllai anche tra i resti di quello di Carlo
E se avesse tolto la SD prima di consegnare il cellulare nelle mani di Mario?
sudore freddo, mal di pancia improvviso. Se le prove di questa umiliante giornata fossero sempre tra le mani di quel porco vigliacco?davanti a me si stagliava l’ipotesi che fosse stato tutto vano.
Quella volta, grazie a Dio, la fortuna girò dalla mia parte:la schedina con dentro il video della vergogna era lì.
Tornai a casa ringraziando il Signore e pentendomi per quella sensazione di impurità e sporcizia che solo chi è stato violentato può provare. Non dormii quella notte. Pregai e piansi, tanto.
Prima di distruggere la schedina di Carlo la caricai sul computer, per non avere dubbi, per non sbagliare. Oltre a vari filmati e foto di Carlo con Veronica e Francesca, più altricon ragazze che non conoscevo o conoscevo solo di vista, c’era il mio filmato. Lo avviai e tra le lacrime, per la prima volta, vidi com’ero fatta, com’era la mia natura.
Ero vuota, non ero io.
Quella ragazza in mezzo al parcheggio sullo schermo del computer non ero io. Mi somigliava,sì, ma non era Chica.
Formattai la SD e la bruciai. Alle 2 di notte del 13 Giugno 2016l’aria odoravadi plastica bruciata.
In via eccezionale mi confessai di lunedìeraccontai tutta la vicenda a Don Luca,che mi assolse con amore di padre,per mezzo dell’amore del Padre. Mi strinse tanto tra le braccia e pianse con me, scusandosi più volte a nome di chi aveva architettato tutta quella macchina di perversione, scusandosi per la disumanità del mondo in cui ero costretta a vivere. Facemmo insieme la penitenza, poi merenda e poi, nuova e pulita come un lenzuolo la sera del bucato, tornai a casa.
Quanto viaggia la testa. Ero all’inginocchiatoio pochi secondi fa, sento ancora un lieve dolore alle ginocchia mentre le gambe stanno lentamente tornando alla vita, e quante immagini mi passano per la testa in poco tempo, quante immagini sono riuscita a collezionare in diciassette anni di vita. Percorrendo la navata centrale i miei occhi cominciano ad adattarsi alla luce esterna che penetra dal rosone sopra la porta.
«Chica!»
Sento Don Luca che mi sta chiamando. Lo sento, fingo di non sentire e continuo a camminare. So cosa vuole chiedermi e, se possibile, eviterei volentieri l’argomento.
«Chica?» I suoi passi affannati dietro di me mi costringono a girarmi.
«Questa chiesa ha una pessima acustica, la domenica non c’è modo di sentire il coro quando canta, bisogna farci qualcosa»lo sento borbottare.
«Dimmi.»
«Come sta tua madre?»
Non sono più padrona del mio corpo, quando devo modellare una risposta nascondendo una parte della verità il mio corpo fa quello che vuole:dà indizi che io non voglio dare. Con la spalla destra leggermente innalzata, il continuo aprire e chiudersi delle palpebre e le gambe che automaticamente si stanno incrociando; assumendo una posizione che dovrebbe sembrare naturale e spontanea non rispondo, rimango muta, in tensione come un elastico prima di rompersi.
Non deve rompersi questo elastico, devo scaricare questa tensione… sento prima il labbro inferiore tremare e arricciarsi, poi le gambe che da rigide diventano instabili e molli, gli occhi si bagnano, la schiena si inarca in avanti e perfino il diaframma si rilassa, tra mille singhiozzi.
«Luca,ti ricordiquando qualche anno fa…»il mio naso fa capricci e sono obbligata a tirare su, che vergogna, «quando mi dicesti che mia madre» un latrato esce dalla mia bocca senza che io lo voglia «stava facendo una lotta contro il male?» un grosso nodo di saliva e lacrime mi ostruisce la gola e sono obbligata e ingollare. «Sì,lo ricordo, ne abbiamo anche riparlato,non è vero? Venisti per qualche giorno ad abitare in canonica con me e Donna Rosa mentre tua madre stava facendo delle cure piuttosto pesanti in ospedale. Ora sei grande, lo capisci che non potevo dirti le cose esattamente come stavano,no?» Schiocco le labbra e rispondo «Si!».
Le braccia del parroco mi cingono ora la schiena, mentre mi culla. Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, così… con la testa che lentamente si sta vuotando, il crocifisso che mi guarda e il respiro che si fa lentamente più regolare. Profuma di incenso l’aria.
Alcune vecchiette di paese entrano e cominciano a sistemare i fiori, altre invece spazzano l’altare. Da fuori il rumore delle macchine, i pensionati a passeggio, i bambini che giocano, appartiene tutto a un’altra dimensione, una dimensione che non è mia, non mi appartiene.
L’aria è carica di tensione, due dimensioni stanno collidendo in un abbraccio fraterno, sotto gli occhi del crocifisso.
«Mia madre ha perso.»